| L’infaticabile laboriosità della fantasia umana aveva ideato milioni di posti splendidi per gratificare il senso della vista, ma Hellhouse non era uno di questi. L’unico sentimento che quel luogo generava in chi ci capitava davanti per caso era l’inspiegabile desiderio di vomitare in un angolo. Si trattava di un gigantesco casolare apparentemente abbandonato alla muffa e ai gatti, con un tetto mezzo sfondato e i muri del tutto scrostati, circondato da un praticello giallognolo che dopo ogni pioggia puzzava di lettiera. Un posto dove il brutto e il cattivo avevano sfrattato il buono da un pezzo. «Eliminarlo, certo. Un piano geniale Victor, deve averti tenuto impegnato per mesi; peccato per quel piccolo particolare: non puoi ucciderlo». L’uomo guardò il colosso che gli stava davanti e si domandò se non avesse esagerato con il sarcasmo, non aveva voglia di un’altra rissa. Victor sorrise, o almeno fece qualcosa di simile. È difficile distinguere un sorriso da un ghigno quando uno ha una fila di zanne al posto dei denti. «Chissà…» «E questo cosa vuol dire?» «Che a differenza tua Lester, io ho fatto i compiti a casa». «Stronzate». Lester finì il suo bicchiere di porto e nell’alzarsi riprese l’arco poggiato sul tavolo. «Se fossi davvero in grado di ucciderlo non staresti qui seduto a parlare con me». «Il momento arriverà presto» ringhiò Victor «Hellhouse finalmente avrà un nuovo padrone». «Patch è il padrone qui dentro» puntualizzò Lester solo per infastidirlo, «anche se “guardiano del porcile” sarebbe più azzeccato». «Patch è una segretaria». L’arciere ridacchiò: «Un po’ di rispetto per il nostro datore di lavoro!». «…Guardali, non ce n’è uno di loro che riesca a sopportarlo» Victor diede un’occhiata tutto attorno a sé, osservando i volti dei criminali che lo circondavano; assassini, ladri, psicopatici, schizofrenici... e un border collie, ma bastardo. «Non stiamo più parlando di Patch, suppongo». «…Eppure tutti lo tollerano perché hanno paura di lui…» Victor strinse il pugno, scavando quattro solchi nel tavolo con gli artigli «Ma io no». Lester appoggiò un braccio allo schienale della sedia, sbuffando scocciato «Mi dici cosa hai in programma di fare o giochiamo al “vorrei ma non posso”? Se ti posso dare una mano a fargli male non hai che da chiederlo; ho ancora in sospeso con lui la faccenda degli scorpioni nel cassetto delle mutande. Pensi di usare la tua magicabula da fattucchiera?» «Attento al limite Lester. Porta rispetto per i sacri rituali del voodoo, o te li farò sperimentare in prima persona» ringhiò la bestia. «TESORO, SONO A CASA!» gridò Jeler sbattendo il portone d’ingresso dietro di sé. Ne seguì un breve mormorio di disapprovazione, interrotto da qualche sporadico saluto di benvenuto piuttosto gelido. «Wilma! Dov'è la mia bistecca di brontosauro?» Un nanerottolo sulla sessantina mezzo pelato e con due lunghi baffi bianchi uscì dall’ufficio direzione e gli trotterellò incontro. «Che novità?» chiese. Jeler si lasciò cadere di peso sulla sedia più vicina, incrociando le braccia dietro la nuca: «Ci sono dei lavori in corso tra vicolo corto e vicolo stretto, e non so se lo sai ma da Max stanno facendo di nuovo la promozione sui panini al formaggio». Patch diede un calcio alla sedia su cui il mercenario si stava dondolando, rischiando di farlo cadere a terra. «Ma ti pare? Potevo farmi male!» bofonchiò «E va bene: missione compiuta, Capitano. Contento?» «Bravo ragazzo, poi quando te la senti passa nel mio ufficio a depositare la mia quota. Tipo adesso.» Jeler accennò al sacco accanto alla porta e disse «Quelli sono più che sufficienti per te?». «Vedremo» rispose Patch trascinando volenterosamente la borsa piena di denaro verso il suo ufficio, abbassando la veneziana. «Mi venga un embolo se quelli là in fondo che cercano di confondersi con la tappezzeria non sono Lester e Victor!» gridò il mercenario. «Ci auguriamo tutti che ti venga ugualmente» disse Lester. I due abbandonarono il loro tavolo per avvicinarsi all’uscita. «Ve ne andate? È già l’ora del bisognino Victor? Non ti consiglio di andare nel prato, che con tutta quella peluria minimo raccatti una colonia di pulci». Il colosso lo scrutò con disprezzo: «Diventi ogni giorno più stupido». Jeler fece spallucce. «Goditi i parassiti allora». «Ragazze, perché non risolvete tutto alla vecchia maniera con qualche schiaffo e una tirata di capelli?» suggerì una calda voce femminile, seguita dalla figura di una donna dai capelli neri acconciati in lunghi rasta. Dall’abbigliamento si sarebbe potuta dire una prostituta a basso prezzo, ma dal suo sguardo chiunque avrebbe capito che allontanarsi con lei in un vicolo buio significava finire squartati sul marciapiede. Metà del suo volto era truccato di bianco, il che faceva risaltare gli occhi verdi in un viso tanto perfetto quanto crudele. «Non ti ci mettere pure tu Ivy» sbuffò Lester «Non ho voglia di sentire le lamentele di Patch per l’ennesima volta». «”Niente scontri a Hellhouse”» recitò Ivy con aria annoiata «Ma sono giorni che nessuno si ammazza qui dentro!». Victor non li degnò di una seconda occhiata e se ne andò sbattendo la porta, mentre l’arciere si rivolse nuovamente alla donna: «A proposito, chi ha detto al nuovo arrivato che per entrare nella compagnia c’era bisogno di superare due fantomatiche prove?» chiese. Jeler e Ivy si scambiarono un’occhiata complice, e Lester scoppiò a ridere. «Siete due sadici bastardi, per poco non ci rimane secco contro Grim». «L’idea era quella» disse Ivy sbadigliando. «Ma Patch ha insistito perché lo lasciassimo in pace, che gli poteva servire un nuovo ladro, che era ancora giovane, e un sacco di altre storie» concluse Jeler «Mi hanno detto che vive qui ora: beh, se è sopravvissuto per un mese alla puzza e al cibo di Hellhouse, potrebbe davvero valere i vestiti che indossa. Com’è che si chiama? Igor?». «Penso Tailer» disse Lester. «Chissenefrega» tagliò corto Ivy. Nel mentre, due tavoli indietro un ragazzetto dall’aria svelta e intelligente ascoltava la conversazione; ma nessuno ci fece caso. Lester sistemò l’arco a tracolla e prese il mantello nero appeso all’attaccapanni, alzando il cappuccio. «Ragazzi, vi auguro buona serata. Quelle informazioni per Patch non si ruberanno da sole e io detesto le scadenze non rispettate. Ciao ciao!». Quando la porta d’ingresso si chiuse dietro all’arciere, Ivy si sedette in braccio a Jeler e gli si adagiò lascivamente contro il petto. Jeler la guardò perplesso: «Non che mi lamenti, ma hai iniziato una cura ormonale o all’improvviso hai capito quanto terribilmente affascinante io sia?». «Nessuna delle due cose» sogghignò la donna «Ma vorrei sapere dalla fonte primaria se è vero ciò che si dice in giro di te, tesoro…» «Se è per quella storia del procione e della crema di mango, ti giuro che ha iniziato lui». «Dicono che tu ti stia rammollendo» gli sussurrò nell’orecchio. Jeler aggrottò la fronte sotto l’attillata maschera rossa e nera «E chi lo dice? Victor? Scommetto che dice in giro anche che ce l’ha più grosso». «No, non è stato Victor…» «Anche perché non è vero.» Ivy gli tirò uno schiaffo. «Stammi ad ascoltare Jeler, o ti pianto un pugnale in un occhio» «Hai la mia più completa attenzione baby, ma se lo fai di nuovo sarò io a prendere a calci quel bel sederino che ti ritrovi». La donna sorrise e assunse un tono più conciliatorio «Le voci girano qui dentro, lo sai meglio di me visto che la tua è quella che gira più spesso. E ad Hellhouse la reputazione è tutto quando sei uno dei migliori.» «Come “uno dei migliori”?! Io sono il migliore e chiunque dica il contrario si ritroverà la testa a stretto contatto con il suo intestino.» «Iniziano ad avere più paura di Victor che di te, a quanto pare c’è qualcosa nell’aria… e solo tu non riesci a capirlo. Sei strano Jeler, più strano del solito ed in una maniera del tutto diversa». In realtà Jeler capiva benissimo, ma semplicemente se ne fregava: da quando aveva incontrato Neena erano cambiate molte cose, c’erano molte più incognite che certezze in una testa già messa malissimo di suo. «Non sarai forse innamorato?» domandò con crudele malizia Ivy «Sarebbe così patetico se gettassi tutta la tua carriera al vento per star dietro ad una stronzetta». Neena era bellissima: capelli ramati, occhi azzurri, un fisico da modella e una certa predisposizione alla magia psionica; ed era una brava ragazza, una di quelle che ad esempio non escono alla sera quando sono sotto esami. Lei sapeva chi fosse Jeler, ma non aveva avuto paura. Sapeva cosa fosse Jeler, e non aveva vomitato guardandolo. Una sola molecola di quella donna era migliore di tutta la carne marcia riunita ad Hellhouse. «Ivy, l’unica stronzetta della mia vita sei tu, te lo posso giurare» rispose Jeler come nulla fosse «A cosa serve una moglie che ti cucina il pranzo quando hai una serial killer psicopatica che si preoccupa per il tuo cattivo nome? Sono l’uomo più fortunato del mondo!» Ivy ridacchiò e gli morse un lobo con sensuale ferocia: «Mi assicuro solo che tu non combatta dalla parte sbagliata». «Io combatto per chi mi paga tesoro, il compito di distinguere il bene e il male lo lascio ai giornalisti» esclamò il mercenario. «Dimostramelo» sussurrò malignamente la donna.
Edited by Dreyght - 11/11/2012, 13:36
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